Sono passate due settimane dal rogo della EcoX di Pomezia, l’azienda di stoccaggio rifiuti speciali andato a fuoco la mattina di venerdì 5 maggio a sud di Roma, sulla strada statale Pontina Vecchia. In questi 14 giorni abbiamo assistito a una serie di annunci e smentite, goffi tentativi di soffocare l’allarme ambientale, che spesso hanno sortito l’effetto opposto. Attualmente il clamore mediatico sulla vicenda si è sgonfiato, come era prevedibile, ma è proprio in questo momento che emergono tutte le incongruenze e le contraddizioni.
Perché dopo 14 giorni ancora non si sa cosa esattamente sia andato a fuoco nella EcoX? È possibile che nessuno abbia notato il ritardo delle analisi e le risposte fortemente contraddittorie da parte delle istituzioni locali e non?
Andiamo con ordine: quello che è emerso in queste settimane, e che è stato diffuso grazie a piccole e piccolissime testate locali che stanno gestendo la notizia, è abbastanza inquietante.
Anzitutto, la storia della EcoX è legata a nomi molto noti nelle varie procure d’Italia legati al mercato dei rifiuti: d’altra parte, è cosa piuttosto nota come questo settore sia, in Italia, fra quelli su cui si basano i più stretti legami fra le istituzioni e varie organizzazioni di stampo mafioso.
Questo aspetto ci interessa solo in parte, ma potrebbe spiegare (forse) un punto cruciale della vicenda, cioè il fatto che ancora non si riesca a capire di preciso cosa è andato a fuoco, anche perché non risultano disponibili nemmeno sul sito della Regione documenti chiari sui rifiuti effettivamente presenti.
Tutto quello che si riesce a sapere sulla EcoX si ricava da una determinazione regionale rilasciata nel 2015 alla Eco Servizi per l’Ambiente srl (subentrata nel 2014 a EcoX). L’azienda era autorizzata a stoccare circa 354 tonnellate di rifiuti al giorno (85mila in un anno), una cifra mostruosa per un’area piccola come quella di Pomezia e dintorni, a meno che l’obiettivo non fosse quello di sfogare anche i rifiuti della Capitale. In più, si legge dall’autorizzazione regionale, “l’impianto dovrà essere dotato di un rilevatore di radioattività”. Non si riesce a capire il motivo, ma la cosa è di per sé parecchio inquietante. Non sappiamo se il rilevatore ci fosse effettivamente o meno, sappiamo però che un banale sistema antincendio non era a norma e infatti non ha funzionato.
La EcoX trattava sicuramente tutti i tipi di plastica, carta e cartone, apparecchi elettrici ed elettronici fuori uso, rifiuti non biodegradabili, scarti di Tmb, vari tipi di gomme, cavi, metalli misti, zinco, piombo, alluminio, stagno, miscele bituminose, rame, bronzo e ottone, catalizzatori esauriti, batterie di tutti i tipi e accumulatori, serbatoi per gas liquido, pastiglie per freni usate, carte e pellicole fotografiche, adesivi, sigillanti, vernici e toner, rifiuti contenenti silicone, terreno contaminato…
Un elenco che di per sé fa accapponare la pelle, ma, ribadiamo ancora una volta, a 14 giorni dal rogo non si sa cosa sia andato a fuoco. Quello che emerge è che c’è la possibilità che la EcoX stesse stoccando rifiuti oltre la quantità consentita e, forse, anche di tipologie che esulano da questo elenco. Insomma, mentre la vicenda viene sgonfiata attraverso dichiarazioni rassicuranti dell’Arpa Lazio (che è pur sempre un ente governativo) e dal Ministero della Salute, alcuni tasselli del mosaico continuano a non incastrarsi.
La distanza fra ciò che emerge dalle indagini e le dichiarazioni atte a sminuire la vicenda si fa sempre più stridente. Non si esclude l’ipotesi di attentato per interessi economici nella gestione dei rifiuti, allo scopo di creare un’emergenza da risolvere con nuovi siti di stoccaggio.
Riportiamo e sottolineiamo anche il ritardo nella pubblicazione dei risultati delle analisi effettuate sul latte, i cui referti erano attesi per mercoledì 17, mentre a tutt’oggi non si ha ancora alcuna notizia. Questo dato che noi leggiamo come un campanello d’allarme che va ad unirsi a tutta una serie di finte rassicurazioni fornite in questi giorni, come la dichiarazione circa l’assenza di amianto nello stabilimento, che invece c’era eccome.
Ribadiamo ancora una volta che la vita e l’ambiente di ogni organismo non possono essere vittime dell’interesse economico, e invitiamo ogni persona, ogni compagna e ogni compagno a non spegnere i riflettori sulla vicenda fino a che non si avranno dati certi e veritieri.
Anonimi Antispecisti Pontini